Studio diretto nel sonno del consolidamento di memoria umano

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 03 ottobre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La nostra società scientifica è stata sempre molto attenta ai progressi compiuti dalla ricerca sui rapporti fra sonno e processi della memoria umana, come testimoniato dagli aggiornamenti in un periodo in cui i lavori che avevano per oggetto sonno e memoria congiunti avevano superato quelli dedicati singolarmente a ciascuno dei due campi di indagine[1], e negli anni seguenti dalle numerose recensioni di studi che hanno fornito un apporto di conoscenza in questo ambito[2]. Lo sviluppo della ricerca sul ruolo del sonno nella memoria è stato così rapido che, nel momento di massimo impegno dei ricercatori in tutto il mondo, l’edizione corrente del celebre The Oxford Handbook of Memory, curato da Endel Tulving e Fergus Craik e considerato una sorta di bibbia per studenti e studiosi della memoria umana, non riportava una sola riga degli esiti di quell’enorme sforzo di conoscenza. La teoria secondo cui il riequilibrio sinaptico realizzato nel cervello durante il sonno comporti la scelta di quali tracce consolidare e quali lasciare all’oblio, ha acquisito sempre più credito e numerosi studi hanno identificato correlati neurofunzionali del consolidamento della memoria nel sonno[3].

Attualmente si ritiene che, durante il consolidamento che si realizza al livello dei sistemi neuronici cerebrali, le rappresentazioni mnemoniche inizialmente basate sull’attività dei neuroni dell’ippocampo migrino verso i siti della neocorteccia per un immagazzinamento a lungo termine; in tale processo di trasferimento dell’informazione un preminente ruolo di facilitazione è svolto dal sonno. In termini di meccanismi neurofisiologici, si è ipotizzato che i processi di consolidamento si basino su interazioni sistematiche fra le tre oscillazioni neuroniche cardinali caratterizzanti il sonno cosiddetto NREM (o Non-REM), ossia le fasi in cui non sono presenti i rapidi movimenti degli occhi (REM) associati all’attività onirica, e durante le quali si ritiene avvengano i processi di riequilibrio sinaptico del sonno profondo. Sotto il controllo globale di oscillazioni lente (SO, slow oscillation) depolarizzanti ed iperpolarizzanti, i fusi del sonno possono raggruppare ripples (ondulazioni) dell’ippocampo per un trasferimento di informazione locale precisamente temporizzato verso la neocorteccia.

Bernhard Staresina e colleghi hanno potuto effettuare rilievi intracerebrali diretti dell’attività elettrica dei sistemi neuronici dell’ippocampo per verificare la fondatezza di questa tesi (Staresina B. P., et al., Hierarchical nesting of slow oscillations, spindles and ripples in the human hippocampus during sleep. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1038/nn.4119, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Epileptology, University of Bonn, Bonn (Germania); Department of Neurology and Stroke, and Hertie Institute for Clinical Brain Research, University of Tübingen, Tübingen (Germania); Institute for Medical Psychology and Behavioral Neurobiology, University of Tübingen, Tübingen (Germania); Donders Institute for Brain, Cognition and Behavior, Radboud University Nijmegen, Nijmegen (Olanda); School of Psychology, University of Birmingham (Regno Unito); MRC Cognition and Brain Science Unit, Cambridge (Regno Unito); German Center for Neurodegenerative Disease, Bonn (Germania); Department of Neuropsychology, Institute of Cognitive Neuroscience, Ruhr University Bochum, Bochum (Germania).

Se lo studio neuropsicologico della memoria umana ha una lunga tradizione, che affonda le sue radici nelle osservazioni anatomo-clinche dell’Ottocento, non si può dire lo stesso dell’indagine neuroscientifica diretta, che di fatto è solo agli inizi. Lo stesso Eric Kandel, affascinato dalla memoria umana, alla quale si era avvicinato grazie alla psicoanalisi, comprese che per decifrare i complessi meccanismi molecolari, cellulari e dei sistemi neuronici alla base della capacità umana di ricordare, fosse necessario cominciare dalla scoperta di processi e principi elementari del funzionamento della memoria in sistemi nervosi semplici, come l’Aplysia californica[4]. Per molto tempo, la ricerca neuroscientifica ha studiato la memoria animale, mentre quella psicologica e neuropsicologica si è occupata della memoria umana.

L’esperienza che ciascuno di noi fa della memoria riguarda in massima parte la capacità cosciente di rievocare dopo tempo un ricordo conservato dalla nostra mente, sia che si tratti di nozioni e dati che costituiscono la memoria semantica, sia che si tratti di eventi e fatti della memoria autobiografica che rientrano nella definizione di memoria episodica. Infatti, l’insieme di queste due forme di conservazione dell’esperienza in modalità esplicita, che costituisce la memoria dichiarativa della neuropsicologia, è praticamente in grado di esaurire tutto lo spettro della comune esperienza del “sapere e ricordare”, che include nozioni scolastiche, professionali e denominative in genere[5] (memoria semantica) così come i fatti della vita quotidiana, con i loro contenuti e nella loro sequenza logica e temporale (memoria episodica).

Le due formazioni anatomiche del cervello critiche per la codifica e l’immagazzinamento delle memorie sono la corteccia prefrontale, che costituisce la base neurale principale della memoria di funzionamento (working memory), e l’ippocampo, che svolge più ruoli nella memoria e nell’apprendimento e, soprattutto, immagazzina informazioni esplicite in una forma più stabile per periodi che vanno da giorni a settimane, ma che possono estendersi alla durata di anni o alla vita intera. Attualmente si ritiene che il sito di immagazzinamento definitivo di tutte le memorie dichiarative sia la corteccia cerebrale. In particolare, si pensa che durante il processo di consolidamento delle memorie, la loro rappresentazione costituita dall’attività neurale dei sistemi neuronici dell’ippocampo possa essere trasferita ai neuroni di specifiche aree neocorticali principalmente per effetto di processi che si verificano durante il sonno.

Staresina e colleghi hanno avuto la possibilità di studiare pazienti affetti da epilessia[6], che hanno volontariamente accettato di offrire l’occasione costituita da trattamento e controllo del disturbo, per lo studio elettrofisiologico di correlati del consolidamento mnemonico. Usando rilievi elettroencefalografici intracranici diretti, hanno studiato i pazienti durante il sonno naturale per verificare l’assunto che vuole onde lente, fusi del sonno e ondulazioni funzionalmente accoppiati nell’ippocampo. Impiegando specifiche analisi di accoppiamento (cross-frequency, phase-amplitude), i ricercatori hanno rilevato che i fusi erano modulati dallo stato up delle onde lente. Ma, aspetto ancora più importante, è stato evidenziato che i fusi, a loro volta, raggruppano ondulazioni al proprio interno, fornendo strutture temporali finemente sintonizzate per l’ipotizzato trasferimento dall’ippocampo alla corteccia delle tracce della memoria.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-03 ottobre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si vedano nella sezione “Aggiornamenti” del sito “Sonno e Memoria” e “Memoria e Sonno”.

[2] Si consulti l’elenco nella sezione “Note e Notizie”.

[3] Fra i sostenitori di questa teoria vi è Giulio Tononi, psichiatra e neurobiologo della Wisconsin-Madison University, proveniente dalla Scuola Normale Superiore di Pisa ed allievo di Gerald Edelman.

[4] Il debito che il genere umano ha contratto verso questo mollusco gigante è bene illustrato da quanto ebbe a fare Eric Kandel alla cerimonia di consegna del Nobel nel 2000, alla quale partecipò con tutta la famiglia, inclusi figli e nipotini: portò con sé un esemplare di Aplysia al quale pose al collo la medaglia del Nobel [Cfr. Perrella, Cardon, Richmond, Rossi, Breve storia della memoria in laboratorio, BM&L, Firenze 2014].

[5] Il nome delle cose, delle persone, così come la denominazione di eventi e concetti, non è un puro significante linguistico del referente materiale o astratto, come vuole l’analisi strutturale della lingua, ma un vero e proprio mezzo di espressione della facoltà cognitiva di adoperare contrassegni simbolici (vale infatti anche per i numeri e per altre forme di simbolizzazione) per rievocare e rielaborare unità di senso materiali o astratte [Cfr. G. Perrella, Linguaggio e Pensiero, p. 3, in “Seminari di Scienze Cognitive”, Cognitive Science Club (CSC), 1994].

[6] Si ricorda che la maggior parte delle sindromi convulsivanti, e in particolare quelle riguardanti i pazienti di questi esperimenti, non alterano la neurofisiologia generale del sonno.